La narrazione del museo

7 giugno 2018 - 10:06

Una delle principali preoccupazioni all’interno del museo, dovrebbe essere la narrazione del proprio patrimonio. Spesso, infatti, il giudizio sulla visita non è dato dall’importanza della collezione, ma dal modo di raccontarla, soprattutto nei contesti dove non si può contare su “pezzi” di particolare fama e rilevanza, come nel caso di molti musei locali e di raccolta naturalistiche.

La narrazione, tuttavia, non può non considerare l’eterogenea composizione dei visitatori, oltre all’importanza sociale rivestita dal museo. Il pubblico di un museo, infatti, si compone di uno spettro ampio di tipologie, che vanno dagli esperti, agli appassionati, fino ai semplici curiosi e poco avvezzi a questi ambienti; a questi vanno aggiunti tutti coloro che hanno difficoltà nell’accesso alle collezioni, per questioni fisiche o, addirittura, linguistiche, e che non possono essere escluse proprio per il carattere universale che il museo possiede e deve possedere.

Tenere presente ciò, permette di evitare di impostare la narrazione secondo un solo punto di vista, rendendo il racconto incapace di coinvolgere buona parte del pubblico. Può essere molto frustante, per un esperto, fare una visita dove la narrazione è inferiore alle sue competenze, viceversa, per un curioso, un racconto complesso o troppo approfondito potrebbe indurlo a rifiutare di proseguire con interesse la visita.

Come accennato, la difficoltà è proprio nel trovare un equilibrio che consenta di avvicinarsi a tutte le esigenze. La missione è particolarmente complessa e, con ogni probabilità, quasi impossibile. Missione molto più percorribile è quella di suddividere la narrazione su più registri, cercando così di fornire al pubblico racconti diversi in base alla propria competenza e interesse nei riguardi dell’argomento trattato nel museo. Certo, questo comporterebbe la preparazione di diversi strumenti e, soprattutto, un’autovalutazione da parte del pubblico, con tutti i rischi e le conseguenze del caso.

Soluzione più percorribile è quella di suddividere la narrazione su più livelli. Una narrazione di base, semplice, che consenta sia di introdurre la collezione, sia di permettere una visita rapida a chi ha poco tempo o non sia particolarmente attratto dal tema trattato. Ad esse si possono aggiungere una serie di approfondimenti, sempre più elaborati, facoltativi, ad uso di coloro che vogliono conoscere meglio la collezione. Sfruttando al meglio le applicazioni si può addirittura concedere di leggere gli approfondimenti a casa o albergo, magari permettendo al visitatore di tornare il giorno dopo.

Sul concetto di lingua semplice vorrei concludere questo post. Semplicità di linguaggio significa utilizzare una lingua piana, asciutta, senza particolari costruzioni sintattiche, con un vocabolario scevro di parole tecniche o desuete (e quando non è possibile farne a meno, almeno spiegarle). Si tratta quindi di un linguaggio di facile lettura, non impegnativo e adatto soprattutto a chi ha poca dimestichezza con l’argomento trattato. Un linguaggio semplice, però, non vuol dire elementare, per cui deve mantenere un determinato rigore logico e di svolgimento. Usare una lingue elementare, significa entrare nell’ambito del semplificato, ovvero una lingua adatta a chi ha scarse competenze linguistiche o difficoltà cognitive e d’apprendimento. Un italiano semplificato, composto da un vocabolario essenziale, frasi cortissime e ridotte all’osso, evitando addirittura le frasi subordinate, è perfetto per rendere partecipi, all’interno del museo, tutti quei visitatori che altrimenti rischiano di rimanere perpetuamente esclusi, come migranti o malati.

In conclusione, la narrazione può essere uno dei punti forti del museo, purché si rispetti tutte le diverse componenti del pubblico museale e si trovino gli strumenti adeguati per diversificare il proprio racconto.