Un luogo scomodo

15 maggio 2017 - 12:05

Il principale errore da commettere è guardare al museo con gli occhi e la passione di noi che lo viviamo ogni giorno. A noi, infatti, risulterà sempre come il luogo più bello del mondo, dove trascorrere ore in letizia all’insegna della scoperta e della conoscenza.
Purtroppo, il museo, ancora di più quello tipicamente italiano, rischia di essere una tortura senza fine per coloro che hanno la ventura di visitarlo.


Un luogo scomodo


La verità è che il museo è un luogo scomodo per chi lo visita. Basta pensare a come avviene il tour al suo interno: sempre in piedi, a piccoli passi, spesso piegati a guardare le vetrine o a testa in su per vedere quadri, con troppa o scarsa illuminazione, a cui si aggiunge una quantità di informazioni esagerata da provocare soltanto confusione; questo è ancora più vero in quelli italiani, quasi sempre collocati all’interno di edifici storici, nati per finalità completamente diverse da quelle museali, e dove il museo vi si adatta. Senza dimenticare anche la scarsa accoglienza destinata ai visitatori, i quali non solo devono sottostare ad orari di apertura scomodi e poco logici, ma spesso hanno soltanto la fredda biglietteria come primo contatto col museo: non certo il massimo per invitare qualcuno a visitare una collezione di cui, magari, ha anche scarsa conoscenza.
Tutto ciò contribuisce a far sentire il museo ancora come un’entità distante, destinata ad un pubblico di “secchioni”, poco capace di coinvolgere persone che non hanno particolari interessi nella sua collezione; persino il costante aumento di visitatori nei musei è poco indicativo nell’indicare un cambio di percezione del museo da parte della generalità del pubblico, perché i dati sugli ingressi sono aggregati e non analizzati nel dettaglio, e sono spesso ingigantiti da vere e proprie azioni di doping (ingressi gratuiti, manifestazioni collaterali, conferenze, matrimoni, ecc.).


Problema noto, ma poco considerato


Negli ultimi anni la museologia si è concentrata sulle scarse capacità di attenzione dei visitatori all’interno del museo. In effetti, la maggior parte delle informazioni vengono dimenticate, anche nel corso della stessa visita, rendendo di fatto inutili la grande quantità di dati forniti dai pannelli e dalle visite. Da questo si evince che dare troppe informazioni non solo non serve, ma può essere anche dannoso, poiché è facile provocare reazione di noia o repulsione. Le indicazioni museologiche vertono soprattutto su questo: spiegazioni brevi se non brevissime, scritte grandi, caratteri di massima leggibilità, ecc.; eppure solo pochi musei le applicano, anche di quelli di recentissima istituzione (ne ho un esempio su un museo archeologico che ho potuto visitare pochi mesi fa in anteprima, dove c’erano più scritte che teche).
Anche le audioguide partecipano a rendere il museo un luogo scomodo. Un paradosso, direi, perché questo strumento nacque proprio per facilitare la visita, permettendo ai visitatori di staccare gli occhi dalle guide cartacee e di concentrarsi sull’ambiente museale. Come già ricordato nel preambolo, i musei si visitano in piedi, facendo pochi passi alla volta, in una situazione molto stressante per le gambe e la schiena; le audioguide acuiscono questo stress, poiché costringono a rimanere immobili in un solo punto, spesso per lunghi minuti. Quante volte, infatti, capita di vedere persone stanche e sfinite all’interno del museo, ascoltanti infinite audioguide con fare distratto? Eppure, nonostante abbia potuto confrontarmi sul problema con qualche responsabile di museo più sensibile a queste problematiche, la maggior parte delle volte mi trovo a discutere sulla quantità di informazioni sull’audio e mai su quanto il pubblico sia capace di assorbire questi dati.


Pensare al pubblico, sempre!

La soluzione è semplice: ridurre e semplificare, avvicinandosi alle esigenze del pubblico, e non a quelle del patrimonio. L’idea è quella di far conoscere solo l’essenziale per la visita, senza quindi allargarsi ad informazioni che sono, sì importanti, ma che non hanno un contatto diretto e immediato con quello che si vede. In pratica, all’interno di un museo bisogna evitare di spiegare le cose tramite pannelli o audioguide, limitandoli ad un ruolo di semplice guida del patrimonio.

Sembra un paradosso che un museo non debba spiegare il patrimonio, ma invece è così: perché un conto è farlo con una guida umana, con qualcuno con cui si ha un’interazione diretta e dinamica e che può adattarsi anche al pubblico, un conto è farlo con strumenti statici, da cui le spiegazioni si subiscono, anziché riceverle.
Faccio un esempio: perché raccontare le abitudini alimentari medievali all’interno della cucina di un castello? Oppure fare la lista dei grandi banchetti avvenuti nel passato? Sarebbe molto più corretto limitarsi a raccontare lo spazio cucina nella sua semplicità, seguendo ovviamente le evidenze archeologiche, permettendo così al visitatore di concentrarsi solo su quello che sta vedendo, senza ulteriori informazioni che rischiano soltanto di essere dimenticate, oltre ad appesantire la visita.


Approfondimenti: creare un legame col museo


Sono consapevole, però, dell’importanza che queste informazioni accessorie hanno per una comprensione vasta del patrimonio del museo, ed è qui che entra in gioco una nuova possibilità per il museo: permettere di approfondire queste tematiche dopo la visita al museo. Grazie alle app, al web, o anche a strumenti meno tecnologici (come semplici fogli di carta), si può far proseguire la visita in un secondo momento, dando i contenuti più tematici soltanto a chi è realmente interessato alla materia del museo. Il vantaggio di separare i contenuti risulta non solo nel rendere più leggera la visita in museo, evitando quindi che le persone si dimentichino le informazioni o, ancora peggio, che evitino proprio di leggere o ascoltare, ritrovandosi così ad osservare il patrimonio senza alcuna indicazione, ma anche nel dare al visitatore interessato un regalo (in questo caso gli approfondimenti) rinforzando così il suo legame col museo stesso, e magari provocando in lui l’interesse a tornare in un secondo momento. E perché no, in un’ottica di centralità del museo, dare indicazioni su cosa fare dopo la visita al museo, in giro per il territorio.